SCRIVERE SUL MARGINE

15.00

Autore: PELLITI MATTEO
Editore: INTERNO POESIA EDITORE
Collana: INTERNO BETA
ISBN: 9788885583955

2 disponibili (ordinabile)

COD: 9788885583955 Categorie: ,

Descrizione

Matteo Pelliti, poeta in un modo tutto giocoso (suoi versi nell’oplepiana Biancaneve e i settenari, Bompiani) e tutto lavoro sul lessico (Somiglianze di famiglia, la sua penultima opera edita da Industria&Letteratura) manda alle stampe Scrivere sul margine (Interno poesia, pp. 138, euro 15, disegni di Guido Scarabottolo) in cui la battaglia epistemica della parola per divenire capace di dire l’infinito, affronta il margine della linea di trincea. Sono temi cari alle scienze del pensiero e alla poesia universale e però il poeta non si ferma alla reduplicazione della teoresi del limite e a un suo stilema di riferimento.

LO SI LEGGE fin dai titoli delle tre sezioni dove la parola «margine» è il sigillo reiterativo di altrettante stazioni testuali che scivolano su un movimento logico ascendente: dalla impossibilità d’essere essa scritta («Non scrivere sul margine»), alla declaratoria d’immanenza («Scrivere sul margine»), alla chiamata per l’assoluto: «Margine» (sembra quasi che la sottrazione di sostanza linguistica sia funzionale alla meta, il margine, l’atomo logico del sistema linguistico-concettuale).
Forse è superfluo sottolinearlo, ma dato che anche l’essere predisposto all’enigma dell’infinito condurrebbe al suo proprio ossimoro logico, Pelliti non può che chiedere ausilio alla parola riconoscendo alla sola scrittura la capacità di inscrivere nell’universo la dimensione piana del raziocinio: «Tra la buona fine e il miglior principio / sta una terra di nessuno, senza auguri, / silenziosa, calma, nitida: è lo scrivere / sul margine»: dato che, leopardianamente, solo segnando un limite e circonchiudendo uno spazio, siamo capaci di pensare o immaginare l’infinito.
Un’ascetica del razionale («i margini grami») contemporaneizzata però nei miti d’oggi della ritualità agonale («Pablito, i tre goal al Brasile certo»), della penitenza («la gente in fila / a chiedere il cestino»), della cosmogonia della notte (dove s’incontrano «tir enormi con un’enorme / croce luminosa, fatta di lampadine al led»), financo della meditazione egotica («Credevo di essere uno scrittore / invece sono un produttore di figli»).

SIA QUALE SIA L’ARCHITETTURA teorica e l’aria di poesia, il libro di Pelliti ha due grandi meriti. Il primo: fa riflettere in un suo modo del tutto impressionistico. È cioè capace di imprimere forme di senso e di simbolo, non solo per il reticolo di citazioni tra cultura classica e teoria degli universali ma anche per rivelarsi esse nella dimensione atomistica delle cose e dei costrutti del tempo dell’antropologia quotidiana. Prende così corpo un sistema di relazioni in cui si intraleggono le teorie del primo Wittgenstein, forse i sistemi connessionisti, certamente i filosofi degli elementi primi. L’estensione della parola nel discorso poetico e il respiro delle corde che vibrano, lo stridio delle ?sfere’, accadono proprio in questo ancoraggio tra citazionismo e immanenza, fonte e prassi, o cultura e natura. Secondo e non meno importante merito: Pelliti traccia una linea di originalità nella poesia contemporanea, nessun libro e nessun verso somigliano ai suoi.

UN ATTO POETICO oggi a suo modo rivoluzionario (che tra i nuovi come lui è anche, ad esempio, di Ibello e di pochi altri) in un tempo della contemporaneità letteraria che sembra semplicemente quello della reduplicazione in minore delle enormi esperienze dei maestri rari di fine e inizio millennio (Sereni, Benedetti, De Angelis?).
I disegni di Guido Scarabottolo, linee parallele di carbone, disegnano sfondi e primi piani cruciverbati ma tridimensionali (oggetti innanzitutto: c’è la sedia, il tavolo, la poltrona, la lampada, il divano); l’intreccio a quadrati dilava i quattro margini dell’impaginazione tipografica e non termina dove il foglio finisce (oltre il margine, verso l’infinito?).
Dal MANIFESTO di Vincenzo Pinello

Vincenzo Pinello