Descrizione
Ci sono scrittori, ha notato Garboli, che hanno saputo amministrarsi con oculatezza: da loro, «una volta passati a miglior vita, non ci aspettiamo più nulla». E ci sono poi i dissipatori, gli eccentrici, che la morte «tradisce e smaschera»: come Flaiano. È dunque nelle sue carte disperse, nei libri usciti dopo la sua scomparsa che troviamo «una verità che non ci è stata detta». Tanto più in questo, che dal 1941, allorché comincia a occuparsi di cronaca, ci conduce ai pezzi di costume del 1970-1972. Per Flaiano, infatti, la satira è già nella cronaca e nel costume: basta saperli guardare. Basta cioè guardare «fatterelli» in apparenza irrilevanti con un «occhiale indiscreto» (così si chiamava la rubrica che teneva nel 1945 su «Il Secolo XX»), in grado cioè di applicare per usare le parole di Anna Longoni una «correzione metonimica». Prodigiosamente, la capacità visiva ne risulterà modificata e il dettaglio si trasformerà in patente, irridente testimone del tutto. Vale a dire degli inestirpabili vizi degli italiani: la natura di voltagabbana, il cinismo che sempre induce verso la parte del più forte, la «leggerezza di carattere», lintolleranza, la colpevole smemoratezza. Con gli anni, «lorrore, la pietà e anche lo sconforto» che queste debolezze suscitavano si andranno accentuando, e lironia, di fronte ai fenomeni di costume degli anni Settanta (la smania delle crociere, il femminismo, la passione per il calcio, il culto della Makina, il turismo di massa), si farà più amara, tagliente: sino a provocare la solitudine del satiro.