Descrizione
«Se tu non vuoi più credere alla verità, nessuno vorrà più credere a te. Con la citazione di queste parole che Zelman Lewental scrisse nellagosto del 1944 ad Auschwitz prima di essere ucciso dai nazisti, si chiude I cani del Sinai, uno dei libri più intensi di Franco Fortini. Libro che sfugge ad ogni definizione, attraversa e supera ogni genere: pamphlet e autobiografia, racconto e saggio; prosa tesissima e lapidaria, scandita in brevi paragrafi, ma obbediente ad una metrica autonoma e rigorosa come in una poesia. Scritto a muscoli tesi, con rabbia estrema nellestate del 67 a ridosso della guerra dei sei giorni, I cani del Sinai è un libro contro: contro quanti amano correre in soccorso ai vincitori, contro il diffuso e razzistico disprezzo antiarabo, contro l’esaltazione della civiltà e della tecnica ‘moderne’ incarnate in Israele; ma è anche e soprattutto il luogo in cui Fortini volle chiarire a se stesso la storia di un combattuto rapporto con le proprie origini. E forse proprio da questa doppia lettura di presente e passato, dalla volontà ostinata di tenere insieme l’interpretazione di sé e della storia (di sé nella storia) e dalla speranza di disegnare il futuro [ ] segnando a dito, con esattezza, le fosse di quel che non cè, le lacune del reale, nasce la forza, non intaccata dal tempo, di queste pagine, da cui Jean-Marie Straub e Danièle Huillet trassero un film a sua volta memorabile.