LOCUS DESPERATUS

18.00

Autore: MICHELE MARI
Editore: EINAUDI
ISBN: 9788806264512

1 disponibili (ordinabile)

COD: 9788806264512 Categorie: ,

Descrizione

In filologia, il locus desperatus indica un passo testuale corrotto e insanabile, per il quale il filologo è costretto a gettare la spugna contrassegnandolo con la cosiddetta «croce della disperazione». E a dare l’avvio a questa storia è proprio una piccola croce, disegnata nottetempo con un gessetto su una porta. Un mattino, uscendo dal suo appartamento, il protagonista nota quel segno appena sopra lo spioncino dell’ingresso di casa: chi può essere stato a farlo, e che significato ha? L’uomo cancella la croce, ma il giorno seguente, e poi quello ancora successivo, il segno ricompare implacabile. Il mistero s’infittisce quando al residente viene imposto uno scambio: qualcuno prenderà il suo posto, e lui dovrà giocoforza trasferirsi. Ma cambiando abitazione sarà costretto a cambiare anche identità: tutte le cose dentro l’appartamento, infatti, dovranno a loro volta scegliere. O fuggiranno insieme a lui, oppure passeranno a un nuovo proprietario – macchiandosi di alto tradimento. Perché ogni oggetto amato ha un’anima, e dunque una sua volontà. Da sempre le case, nella storia della letteratura cosí come nella vita, sono il luogo dove gli avvenimenti piú banali si mescolano a quelli fatidici. L’abitazione al centro di Locus desperatus, però, assomiglia alla Hill House immaginata da Shirley Jackson, o alla Casa Usher di Poe: un’entità senziente, con un suo carattere ben preciso. Un luogo dove l’inconscio di chi ci abita, dopo una lunga frequentazione, è divenuto tutt’uno con i libri, le stampe, gli oggetti e i ricordi d’infanzia. E chi meglio di Michele Mari poteva raccontare lo struggimento e le ossessioni per i feticci accumulati nel corso di un’esistenza, ingaggiando un duello con la propria memoria affettiva? L’autore di Verderame e di Leggenda privata ci consegna una stramba discesa agli inferi e insieme una spietata tassonomia dei ricordi. Un romanzo tormentato e divertente sul senso ultimo che diamo agli oggetti: «Senza le mie cose io non sarei stato piú io, e senza di me loro non sarebbero state piú loro».